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#MaroccoInMoto: dalle dune di sabbia di Merzouga al Rif di Chefchaouen

Tempo di lettura: circa 12 minuti

Dopo l’esplorazione del versante Nord dell’Alto Atlante e la visita delle città imperiali di Meknes e Fes, torniamo nel Sahara puntando a Sud in direzione Merzouga per affondare le nostre bicilindriche nell'Erg Chebbi. La fine del viaggio si avvicina e torniamo a Tangeri visitando la regione del Rif, la città blu di Chefchaouen e la costa mediterranea del Marocco.

Giorno 10: da Fes a Midelt

Per Stefania è giunto il momento di rientrare in Italia, ma abbiamo ancora gran parte della giornata per esplorare i dintorni di Fes. Il Riad Meski ci propone una gita di un paio d’ore in auto con sosta panoramica alle Rovine delle Tombe Merinidi, foto davanti ad una porta dorata del Palazzo Reale, visita guidata di un laboratorio dove si producono le tradizionali ceramiche marocchine.

Torniamo nella medina per girovagare senza meta, pranzare nel posto più lurido che riusciamo a trovare, incontrare una tatuatrice per realizzare un temporaneo disegno all’henné. A metà pomeriggio raggiungiamo le moto (lasciando trasportare armi e bagagli ad un carrettiere) e ci dirigiamo all’aeroporto internazionale di Fes, da dove Stefania raggiugerà Bergamo e poi Torino.

Io e Paolo imbocchiamo la N8 in direzione Sud, il sensore RDC della mia moto comincia a segnalare una leggera perdita di pressione al posteriore: incrocio le dita sperando di non aver forato… ma in una rotonda della città di Ifrane perdo completamente aderenza e in un’istante mi ritrovo sdraiato a terra: complice la bassa velocità me la cavo con una leggera grattata di valigia sinistra e paramotore, io sono completamente illeso e la giacca Acerbis Creek non ha un graffio.

Vogliamo raggiungere Midelt prima che faccia buio, per cui ripartiamo dopo aver controllato per bene la pressione e guidando con un’attenzione tripla rispetto al solito. La moto si comporta bene e probabilmente la caduta è stata causata da una macchia d’olio.

Attraversiamo di nuovo la stupenda foresta di cedri per poi proseguire sulla N13, lasciandoci il verde alle spalle. Percorriamo un altipiano che diventa sempre più arido man mano che procediamo verso Sud. Arriviamo allo Ksar Timnay di Midelt (sconto del 10% prenotando da questo link) che è quasi buio, controlleremo il mio pneumatico posteriore l’indomani.

Giorno 11: le dune di sabbia dell’Erg Chebbi

Ci svegliamo di buon’ora e dopo la colazione troviamo il foro nello pneumatico posteriore. Anche questa volta il kit ripara tubeless fa la sua bella figura, lo stesso non si può dire del mini compressore 12V da 10€ che arranca e si surriscalda… fortunatamente allo Ksar Timnay sono ben organizzati e risolvono la situazione prestandoci un compressore degno di questo nome. Per evitare problemi simili mi sono poi dotato di pompa a pedale: compatta, leggera e sempre funzionante!

Poco dopo Midelt la N13 serpeggia un po’ per arrivare al passo Tizi-n-Tlghoumte, ma i panorami più spettacolari li troviamo dopo Kerrandou, subito dopo aver attraversato il Tunnel del Legionario (o Tunnel Zaabal): una galleria lunga 60 metri realizzata dalla Legione Straniera francese tra il 1927 ed il 1928 utilizzando picconi, badili e tanto sudore.

Da qui si entra nella splendida Valle dello Ziz, la strada diventa sinuosa ed è un piacere pennellare i curvoni che seguono il percorso dell’omonimo fiume. Finalmente tornaniamo a viaggiare lungo i bordi di oasi rigogliose che creano un contrasto fortissimo tra il verde della vegetazione rigogliosa e la terra ocra arsa dal sole.

Nei pressi di Erfoud lo Ziz si inabissa nel terreno lasciando il posto ad uno oued, il letto secco di un fiume fossile: fortunatamente sotto l’arida crosta del Sahara l’acqua scorre e rende possibile la vita in questo ambiente apparentemente inabitabile.

Abbandoniamo la strada principale per la R702, un nastro di asfalto che corre distante dai villaggi ma arriva vicinissimo al versante nord del mare di dune che vogliamo raggiungere. Un vento secco, caldo, fortissimo e laterale rende difficoltosa la guida. Le temperature aumentano e per la prima volta sfioriamo i 40°C. La sabbia arancione viene soffiata sulla strada, ai cui lati si creano dei piccoli accumuli che non disturbano la guida. Improvvisamente dall’orizzonte spuntano le vette di sabbia delle dune dell’Erg Chebbi: è una visione davvero emozionante.

Su consiglio di un benzinaio abbandoniamo l’asfalto quando troviamo le indicazioni per lo ksar Sahara Garden. La pista è fatta principalmente da terra dura, su cui si creano delle fastidiose gobbette per il passaggio continuo di veicoli; ogni tanto una lingua di sabbia ci fa assaporare per la prima volta quella strana sensazione di galleggiamento che ci fa temere non poco una caduta improvvisa.

Stanchi, accaldati e assetatissimi decidiamo di lasciar perdere il nostro obiettivo e ci fermiamo all’Hotel Yasmina, scelta davvero azzeccata: lo ksar è situato proprio ai piedi delle imponenti dune di sabbia, ha stanze comode e pulite, ma soprattutto una fantastica piscina che ci riporta in vita dopo le fatiche arrecate da vento e sabbia. Prima di partire per un’escursione tra le dune decidiamo di fare un bucato per dare ai vestiti tutto il tempo di asciugare.

È finalmente arrivato il momento di mettere i piedi sulle immobili onde di sabbia, e per piedi intendo proprio i piedi nudi: la sabbia è finissima e le scarpe se ne riempiono subito, rendendo davvero scomodo camminare. Passiamo i primi minuti a schivare le proposte dei tuttofare berberi che provano ad offrirci escursioni, notti in tenda, resti fossili e artigianato locale.

Dopo aver superato 4 o 5 dune lo ksar non si vede più, siamo finalmente immersi in un silenzio totale. Il colore del cielo vira verso il giallo a causa della sabbia sollevata dal vento, rendendo l’atmosfera davvero irreale. La sensazione di essere gli unici esseri umani nella zona viene interrotta dalla vista in lontananza di una comitiva di turisti a groppa di dromedario, o dal viavai di moto da enduro: nei prossimi giorni si correrà un rally e ci sono già diversi team sul posto.

Purtroppo non sono in grado di descrivere le sensazioni provate davanti ad un paesaggio così affascinante, lascio che siano le foto ad ispirarvi.

Tornati allo ksar troviamo il nostro bucato asciutto come non mai: i tessuti si sono essicati completamente nel giro di un paio d’ore e sembrano fatti di carta. Ceniamo nel ristorante dello Ksar e prima di dormire andiamo a fare altri due passi tra le dune, dove rimaniamo senza fiato: si vedono un numero impressionante di stelle, bastano pochi minuti per abituare gli occhi a “vedere al buio” grazie alla poca luce riflessa dalle nubi.

Giorno 12: gioie e fatiche tra le dune di Merzouga

Nonostante i tentativi di rimbalzare le varie offerte propinate dai berberi, abbiamo ceduto alla proposta di ammirare l’alba dall’alto di una duna… e così alle cinque del mattino siamo di nuovo con i piedi nella sabbia in attesa di montare sulle selle di una coppia di dromedari. Le poche nuvole della sera precedente sono scomparse, rendendo il cielo notturno ancora più emozionante.

I berberi dell’Erg Chebbi hanno imparato quel che basta di ogni lingua per farsi capire da tutti i turisti che passano da Merzouga, così ci ritroviamo a seguire discorsi in un comprensibile mischione di italiano, francese, spagnolo e inglese. La nostra guida parla anche tedesco, arabo, cinese e giapponese. Dato che siamo gli unici due europei del gruppo (il resto della comitiva è composta da cinesi) abbiamo la possibilità di starcene un po’ separati e raggiungere un duna isolata dal trambusto.

L’alba è uno spettacolo mangnifico e nel giro di un paio d’ore vediamo le dune assumere decine di gradazioni di colore diverse.

Rientriamo all’Hotel Yasmina giusto in tempo per la colazione, dopodichè decido di tentare la sorte sulle dune di sabbia in groppa alla mia bicilindrica bavarese; Paolo osserva le mie gomme 90% stradali e decide di abbandonarmi al mio destino. Cerco di alleggerire il mio destriero smontando il tris di valigie, ma la mia BMW R1200GS continua a pesare più di 200 kg.

Abbasso un po’ la pressione degli pneumatici, disattivo l’elettronica di controllo e varco la porta dello ksar: inizio a tastare il comportamento della moto sulle lingue di sabbia che incontro ogni tanto, scoprendo che il modo “migliore” per affrontarle è a gas ben aperto con l’anteriore che galleggia sulla superficie. Mi lancio agli 80-90 km/h su una distesa di terra compatta e torno bambino lasciando derapare la moto in curva con lo stivale a terra, neanche fosse una gara di supercross.

È arrivato il momento di affrontare la sabbia, quella vera. Inizio ad aggredire il margine del deserto salendo su piccole dune, rendendomi subito conto della necessità di avere gomme molto (ma MOLTO!) più tassellate delle Michelin Anakee III e un mezzo molto (ma MOLTO MOLTO!) più leggero. Dopo aver preso un po’ di confidenza decido di sgasare in prima per affondare la ruota posteriore nella sabbia e fermarmi a fare qualche scatto: le foto sono eccezionali, mai quanto la fatica che ho dovuto fare per uscirne! Senza gomme tassellate non c’è modo di tirarsi fuori con il motore, ho dovuto scavare a mano per liberare la moto dalle sabbie del deserto. Madido di sudore e con una sete pazzesca me ne torno all’hotel con la coda tra le gambe.

Purtroppo dobbiamo caricare i nostri bagagli e ripartire, abbiamo un traghetto che ci aspetta. Verso le 11 ci rimettiamo in viaggio raggiungendo l’abitato di Merzouga, un villaggio abbastanza insignificante che non aggiunge niente alla magnificenza delle dune. Torniamo sulla N13, questa volta per percorrerla in tutta la sua lunghezza dall’estremo meridionale a quello settentrionale, la città blu di Chefchaouen.

Il nostro poetico intento di percorrere una strada da un capo all’altro si scontra molto presto con la dura realtà: mettersi in viaggio nelle ore centrali in pieno deserto del Sahara non è una grande idea. In breve tempo ci sentiamo disidratati e ogni mezz’ora ci fermiamo a scolare un buon litro d’acqua nel primo bar che troviamo, seguito da una copiosa pisciata nel giro di pochi chilometri. L’unica è fermarsi a recuperare l’equilibrio idrico mangiando frutta, bevendo té e spremute d’arancia.

Decidiamo di tornare a dormire allo Ksar Timnay: dispone di piazzole potremo finalmente sfruttare le tende che ci siamo trascinati inutilmente per almeno 3500km. Non avendo mai provato a montare la Coleman Coastline comprata per l’occasione ho tribolato non poco a metterla in piedi. Come se non bastasse il mio sacco a pelo da 10°C si è dimostrato totalmente inadeguato a mantenere una temperatura decente, facendomi svegliare a più riprese per indossare tutti i vestiti che mi sono capitati a tiro.

Giorno 13: verso Nord

Al momento di pagare realizziamo che il totale per 2 tende, 2 posti moto e 2 colazioni equivale a quanto pagato per dormire in stanza doppia con colazione. Cornuti e mazziati! Conosciamo già il paesaggio da qui a Meknes, l’unico evento degno di nota è l’inchiodata pazzesca a cui ci obbliga un macaco kamikaze dalle parti di Azrou.

Si potrebbero visitare le rovine romane di Volubilis, ma decidiamo di dare una rapida occhiata dall’esterno e ripartire: ne abbiamo un bel po’ in Italia, meglio concentrarci sulle attrazioni più esotiche. Siamo tornati nel Marocco verde, con un paesaggio che assomiglia moltissimo all’Italia del centro-sud. Percorriamo un bel po’ di strada tra collinette dolci coltivate a grano fino a raggiungere la catena montuosa del Rif, dove la N13 si ravviva un po’ e rende la guida più piacevole.

Siamo partiti dal deserto roccioso ed in meno di 400 km abbiamo raggiunto le verdissime montagne intorno a Chefchaouen attraverso una varietà di paesaggi inimmaginabile. Complice la giornata precedente piuttosto impegnativa, arriviamo alla perla blu solo per mangiare una rapida cena e crollare nel primo hotel in cui troviamo una stanza libera.

Giorno 14: la perla blu, Chefchaouen

Una buona dormita rende sicuramente tutto più bello, ma il fascino di Chefchaouen, con il suo centro storico completamente dipinto di blu, è oggettivamente altissimo. È un’antico insediamento arroccato sul fianco di una montagna, fondato nel 1471 da esuli andalusi di fede ebraica e musulmana, per anni chiuso al turismo perché considerato sacro. Non si conosce esattamente il motivo del colore blu: noi ci accontentiamo di perderci nel labirinto delle sue viuzze e contemplarla dall’alto dopo una breve camminata fuori dalle mura.

Vogliamo pranzare guardando il Mar Mediterraneo, e su consiglio dell’albergatore ci muoviamo verso Oued Laou: la strada P4105 corre lungo una stretta valle molto scenografica, ma raggiunta la costa troviamo spiaggioni di sabbia grigia ed una città piuttosto deludente. Un panino farcito con sardine cotte alla brace ci risolleva l’animo.

Costeggiamo il Mediterraneo sulla N16, nastro di asfalto perfetto che ci regala 25 chilometri di ottime curve con vista mare. Arrivati a Martil ci rendiamo conto di essere finiti nel bel mezzo della “Costa Brava” Marocchina, tutti parlano spagnolo e la città è fatta di bar alla moda, promenade curatissime, hotel luccicanti e prezzi europei. Vorremmo dormire al Cabo Negro, ma purtroppo è costellato da resort internazionali in chiusura stagionale.

Ci arrendiamo a prenotare tramite Booking.com, dove troviamo una stanza ad un prezzo decente al Restingua Smir (sconto del 10% prenotando da questo link). L’architettura moderna e minimal ci fa già sentire fuori dal Marocco.

Giorno 15: arrivederci Marocco!

Ci svegliamo con calma e io ne approfitto per fare una passeggiata sulla spiaggia, completamente coperta di grosse conchiglie bivalve. Questa sera ci aspetta l’imbarco per Genova e abbiamo tutto il tempo per un ultimo giretto in terra africana. Proviamo a raggiungere Ceuta, enclave Spagnola che assieme a Gibiliterra costitusice le Colonne d’Ercole, ma dobbiamo desistere: essendo territorio Schengen l’accesso è strettamente sorvegliato e sottoposto a lunghi controlli.

Seguiamo la N16 e raggiungiamo la Plage Dalia, scenico porticciolo naturale a due passi dall’enorme porto di Tangier Med e da cui si possono ammirare la costa spagnola e la rocca di Gibilterra. Facciamo qualche foto e ci spostiamo per il pranzo in una taverna per camionisti poco distante dal porto industriale.

Spendiamo gli ultimi Dirham bevendo spremute d’arancia, guardando il mare dalla spiaggia di Ksar es Seghir con il cuore pesante per quel che dovrà inevitabilmente accadere da qui in poi: i controlli e l’attesa per l’imbarco, il parcheggio delle moto nel ventre di metallo della nave GNV, le 56 ore di navigazione per arrivare a Genova, il viaggio verso Torino in autostrada sotto la pioggia, le telefonate di lavoro, il rientro nella quotidianità…

Arrivederci Marocco, non dimenticheremo facilmente questi 5500 km di esperienze e strade fantastiche!

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Gabriele

In sella alla mia BMW R 1200 GS attraverso il traffico torinese, mi godo i tornanti delle alpi nord-occidentali e vado alla scoperta del mondo accompagnato da mia moglie Stefania.

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