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Panamericana: Patagonia e Terra del Fuoco

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Nella prima parte del viaggio abbiamo attraversato Cile, Perù, Bolivia, Argentina, Paraguay e Uruguay; a Dicembre 2019 siamo tornati in Sud America per spingerci ai limiti meridionali del continente per esplorare Patagonia e Terra del Fuoco, sulle orme del nostro compaesano Antonio Pigafetta.

La stanza è buia, tra le tende un piccolo raggio di luce si intrufola nella camera d’albergo illuminando il grande letto. Dal marciapiede si sente arrivare della musica, alcuni ragazzi parlano e fanno cadere una bottiglia di vetro a terra che rotola sul marciapiede rumorosamente. Il mio sonno viene interrotto all’improvviso da un cupo suono di sirena, seguito da due fischi più lunghi; il quarto, lunghissimo, segna la fine di questa nottata trascorsa a Montevideo.

Guardo l’orologio, sono le 4:30 del mattino: troppo presto per alzarsi, troppo presto per leggere un libro. Provo a prendere sonno, ma nel frattempo la mente mi sta già riportando al viaggio appena terminato, a quelle sirene che mi riconducono al porto di Ushuaia, dove grandi navi da crociera attraccano per permettere ai turisti la visita della città.

Alla fine del mondo: Ushuaia e la Terra del Fuoco

Ushuaia è una città insolita, dove a distanza di un isolato si passa dal lungomare curato e pulito all’Avenida San Martín, sede di molti negozi di accessori da sci ed escursioni montane. Una città viva a qualunque ora del giorno e della notte, con i suoi numerosi ristoranti e pub e gli innumerevoli hotel e casinò. Una città considerata da molti come l’ultimo approdo alla Fin del Mundo.

Dopo aver raggiunto Ushuaia ci siamo spinti fino alla Bahia Lapataia, all’interno del parco naturale della Tierra del Fuego. Attraversiamo boschi fitti su una lunga pista sterrata che si snoda tra ruscelli e laghi, sotto una fitta pioggia che a tratti lasciava spazio al sole timido e tiepido, accompagnati dall’arcobaleno solcato dai grandi rapaci che planavano sospesi dalle forti termiche.

Dopo giorni di guida sulla Ruta Nacional 3, raggiungiamo il grande cartello che attesta “aquì finaliza la carretera màs sureña del mundo”. Nell’ufficio postale del parco otteniamo il timbro sul passaporto che attesta l’arrivo in questo luogo unico. Io e Alice percorriamo il piccolo sentiero che prosegue nel bosco, ma piove così tanto che siamo costretti a proteggerci sotto una grande tettoia dove trovano riparo altri turisti.

Ero spinto dal desiderio di raggiungere Ushuaia per vedere il punto in cui si incontrano i dei due grandi oceani, così raggiunto il porto ci siamo aggregati ad una delle tante escursioni sul Canal Beagle, un lungo braccio di mare che unisce il Pacifico all’Atlantico e separa la Terra del Fuoco dalla terraferma.

Alice prende i biglietti e attendiamo il nostro turno per salire sulla piccola imbarcazione. Dietro di noi, molti turisti orientali attendono il proprio turno in una fila ordinata. Saliamo sulla piccola barca che ci trasporta ondeggiando e navigando vicino alle isolette e agli scogli sparsi nel canale.

Vicino al natante otarie e cormorani nuotano sereni. Poco distante, nel centro del canale, il grande faro bianco e rosso dell’isola Les Éclaireurs è la sede di una numerosa colonia di cormorani. Raggiunta l’isola Bridges passeggeremo a lungo tra i licheni e gli arbusti per ammirare le coste. Uno spettacolo unico, ma questa è solo una piccola parte delle bellezze di questa terra.

Ho letto molto sulla Terra del Fuoco, ogni volta che la immaginavo pensavo ad un luogo immacolato, rimasto come ai tempi della sua creazione, dove la bellezza dei colori e delle forme rapisce gli sguardi riempiendo gli occhi del viaggiatore. Immaginavo una terra mai vista, capace di travolgermi e di rapirmi, un luogo incredibile dove l’uomo si confronta con la natura selvaggia ed aspra tra boschi di conifere in un clima fresco, mite e piacevole. Una terra popolata da un’abbondante fauna di volpi, caprioli e castori. Un cielo solcato da innumerevoli uccelli e rapaci, tra cui il Pajaro Carpintero, un picchio dalla testa rossa. Un mare abitato da leoni marini, pinguini e molto altro ancora.

Ogni mia aspettativa è stata ampiamente soddisfatta.

I pinguini di Pigafetta

Una riflessione che spesso ho ripreso in queste lunghe tratte in sella alla moto era legata all’habitat dei pinguini: li avevo sempre immaginati in luoghi isolati, tra i ghiacci, attanagliati dal freddo intenso e avvolti dal vento travolgente che proviene dall’oceano… invece sono lì vicino a me, li vivo, li osservo, ci gioco e quasi li tocco; loro mi osservano, alcuni stanno scavando un nido a terra, altri cercano refrigerio in mare perché fa molto caldo e tutti respirano a fatica con il becco aperto.

In questo viaggio spesso ho incontrato i pinguini lungo le coste della Patagonia, ma ho potuto osservarli da vicino soprattutto a Punta Tombo (Argentina) e nel Parque Pingüino Rey vicino a Porvenir (Cile).

Punta Tombo, che ridere… quante volte per via della mia poca memoria ho chiesto ad Alice di ricordarmi il nome Punta Tombo. Santa donna. Una località raggiunta seguendo una lunga pista tra i bassi arbusti della tipica pampa argentina, in compagnia di struzzi, pernici e guanachi.

Abbiamo conosciuto il nome di Punta Tombo grazie all’associazione culturale Pigafetta 500 di Vicenza, con la quale abbiamo organizzato una visita al museo. Accompagnati dall’incessante colonna sonora prodotta dallo stridio dei pinguini, abbiamo osservato alcune rappresentazioni in scala della flora e fauna che vive in questo luogo, consultando documenti del passato che testimoniano il passaggio del nostro compaesano Antonio Pigafetta, che in questi mari vide per la prima volta i pinguini.

Ma perché è importante oggi il Pigafetta?

Nel lontano 20 Settembre 1519 partirono da Siviglia 5 caravelle spagnole comandate da un portoghese di nome Magellano. Su quelle caravelle c’era un vicentino di nome Antonio Pigafetta, che si era aggregato alla flotta per soddisfare la sete di avventura e conoscenza. Egli fu uno dei soli 18 uomini a sopravvivere al primo giro del mondo via mare.

Per me quest’uomo è diventato un esempio di forza, coraggio, caparbietà. Un uomo che avrebbe potuto starsene tranquillo a casa (proveniva da una famiglia nobile), ma che è voluto partire perché spinto dalla voglia di sapere. La sua sete di conoscenza lo ha fatto diventare uno dei più grandi esploratori, oltre ad essere un grande comunicatore pur non conoscendo le lingue dei paesi che attraversava.

In tutti noi viaggiatori c’è una piccola parte dello spirito del Pigafetta e leggere il suo libro è utile per riflettere sulle motivazioni che ci spingono a partire comprendendo le origini del viaggio.

Vi lascio alcune righe che tratte dalla sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo, quando giunto a Punta Tombo vide per la prima volta i pinguini:

«Poi seguendo el medesimo cammino verso el polo Antartico, accosto da terra, venissemo a dare in due isole piene di occati e lupi marini. Veramente non se poría narrare il gran numero de questi occati. In una ora cargassimo le cinque navi. Questi occati sono negri e hanno tutte le penne ad uno modo, così nel corpo come nelle ali: non volano e vivono de pesce. Erano tanto grassi che non bisognava pelarli ma scorticarli. Hanno lo becco como uno corvo.»

Ovviamente è stato d’obbligo recarci a San Julian per visitare la riproduzione della caravella Victoria, l’unico vascello rientrato in Spagna con i pochi superstiti di questo viaggio avventuroso. Saint Julian é stata fortemente segnata dal passaggio della spedizione di Magellano: in questo luogo le caravelle rimasero a svernare per 5 mesi, permettendo alla flotta di interagire con le persone del posto. Qui fu celebrata la prima Santa Messa e battezzato il primo patagone con il nome di “Giovanni”.

Nel nostro piano di viaggio rientreranno altri due appuntamenti legati al Pigafetta: Punta Arenas e Trelew dove incontreremo la comunità italiana per scambiarci dei doni.

Las Rutas Nacionales de Argentina 3 y 40

In questo viaggio abbiamo solcato molte strade e piste, ma la maggior parte del tempo siamo stati sulla Ruta 3 e sulla Ruta 40, che hanno caratteristiche molto diverse nonostante viaggino parallele ad una distanza di circa 300 km.

La Ruta Nacional 3 è una lunga striscia di asfalto solcata da grandi camion carichi all’inverosimile che intarsiano questa striscia nera creando dei solchi profondi decine di centimetri, molto pericolosi per i motociclisti.

Ogni 250–300 km c’è una stazione di servizio, ma non sempre sono provviste di benzina e spesso non accettano la carta di credito. Lungo la strada per tenere sotto controllo i transiti esistono dei punti di controllo della polizia dove vengono eseguite delle verifiche sui carichi dei mezzi e sul trasporto di frutta e verdura (vietato verso Sud).

Non si può parlare di Ruta 3 senza citare vento, carcasse di auto abbandonate e guanachi.

Il vento lungo questa strada è una costante. Proveniente dalle lontane Ande si proietta sulla Ruta 3 costringendo chi la transita a continui zig-zag, su un manto stradale pericoloso a velocità elevate. Fino a Comodoro il manto stradale e il vento sono tutto sommato clementi, a Sud è necessario prestare massima attenzione ad ogni km.

Le carcasse di auto sono la testimonianza delle pericolosità di questa strada e della difficoltà di recuperare le auto in panne; numerose piccole capanne rosse e bandierine testimoniano gli incidenti mortali avvenuti su questo nastro d’asfalto.

Non bisogna trascurare la presenza dei guanachi. Si tratta di un animale molto affascinante, ma pericoloso. Un benzinaio mi spiega esattamente perché: il guanaco vive allo stato brado e si impaurisce al passaggio dei mezzi, fuggendo non sempre nella direzione più logica… è un abile saltatore, ma nonostante le sue convinzioni non è in grado di scavalcare un motociclista, né tanto meno un camion. Esiste una regola osservata da tutti a cui ci adeguiamo subito: quando si incontrano delle mandrie di guanachi al pascolo, bisogna avvertire chi incontri lampeggiando i fari.

La Ruta Nacional 40 è la più lunga delle Rutas dell’Argentina e una delle strade più lunghe al mondo. Si snoda da La Quiaca a Nord per terminare a Sud nei pressi di Punta Loyola, correndo parallelamente lungo la cordigliera delle Ande. Sale e scende attraverso fiumi e parchi naturali, stupendo chi la percorre della bellezza sterile di questa terra. E’ una strada che stimola la mente per la bellezza del paesaggio che la circonda, riportando il viaggiatore ad un contatto unico con la natura.

Qui non conta il mezzo con cui la percorri, ma conta come la percorri. Ora che l’ho fatto in tutta la sua lunghezza posso assicurarvi che la parte patagone è sicuramente la migliore. L’unico consiglio che mi sento di dare ai viaggiatori è di prestare massima attenzione nel tratto tra Tres Lagos e Gobernador Gregores dove è presente molta ghiaia smossa, ma percorribile anche da moto pesanti come la nostra BMW R1200GS.

Il ghiacciaio Perito Moreno

Una tappa obbligata sul percorso della Ruta 40 è El Calafate, per visitare il Perito Moreno: la terza riserva di acqua dolce del mondo. Una formazione di ghiaccio che si estende per 250 km quadrati e per 30 km di lunghezza, spessa più di 60 metri, in continuo movimento perché tra la roccia e il ghiaccio c’è una sorta di cuscino d’acqua che permette al ghiacciaio un movimento di circa 2 metri al giorno.

Purtroppo il 10 Marzo del 2016 è crollato il ponte di ghiaccio, un arco frontale di straordinaria bellezza. Secondo gli esperti il crollo è riconducibile al naturale movimento del ghiaccio e non al riscaldamento globale. Resta il fatto che non avrei mai pensato di osservare questa meraviglia glaciale ad una temperatura di quasi 20 gradi.

Per raggiungere il ghiacciaio occorre superare El Calafate e percorrere una lunga strada dritta che conduce in prossimità del parco, che accoglie i visitatori con un paesaggio da fiaba: una valle stretta circondata da alte vette innevate che brillano al sorgere del sole.

Superato l’accesso al parco, dopo alcune curve tra la vegetazione fitta, compare sua maestà Perito Moreno. Spesso lungo la strada ci fermeremo ad osservarlo da lontano per cogliere ogni sua angolazione, osservandolo e non comprendendone le dimensioni fino a quando non giungeremo al parcheggio alla termine della strada. Percorrendo alcune passerelle di legno è possibile osservare questa opera della natura caratterizzata dall’intenso azzurro del suo ghiaccio.

Nel raggiungere i vari punti di osservazione mi rapisce il cuore il boato intenso, duro e intervallato che indica la rottura dei ghiacci sotto i crudeli raggi di sole. Blocchi enormi si disgregano cadendo in acqua rumorosamente, creando onde che si infrangono contro piccoli iceberg. Questo suono mi trasmette un lamento che ritengo non sia colto dalla maggior parte dei turisti, che fotografano e osservano rumorosamente questa opera gelida e maestosa della natura. Anche se forse serve a poco, avrei ritenuto più utile accedere a questo luogo con mezzi elettrici per cercare di stimolare la coscienza dei visitatori. Oltre alle passerelle esiste la possibilità di osservare il ghiacciaio in tutta la sua maestosità dalle acque del lago andino, utilizzando una delle tante barche dei vari tour organizzati.

Natura incontaminata alla Penisola di Valdés

Quando penso al freddo penso ai pinguini, alle foche, ai leoni marini… e così i miei ricordi tornano alla Penisola di Valdés, un parco naturale dalla bellezza straordinaria e incontaminata, celebre per le numerose colonie di cetacei che un tempo raggiungevano queste tiepide e calme acque per procreare e crescere per i piccoli, prima di dirigersi verso Sud.

Dopo aver acquistato il biglietto chiediamo al punto informazioni qualche chiarimento, in modo d’avere un quadro generale di questa grande penisola. Raggiungiamo Puerto Pirámides, l’unico centro abitato della penisola: nato in antichità per l’estrazione e il trasporto del sale dalle saline del posto, oggi ospita poche strutture turistiche e varie agenzie che organizzano escursioni di whale whatching in barca.

Visitiamo la costa che inizialmente si estende su una spiaggia ampia e ben tenuta. Verso Est si trasforma in una costa rocciosa lunga qualche centinaio di metri, infranta da una collina oltre la quale si fa largo un’altra lingua di sabbia più grande della prima.

Vicino al paese c’è una festa a cui partecipano una moltitudine di giovani, intenti a ballare sulla sabbia al ritmo di un’assordante musica disco. Hanno trascorso la notte in auto o in piccoli pullman, trasformati in camper saldando dei pannelli in lamiera sui finestrini. Tutti sono felici e si divertono, ma a causa della musica sparata a tutto volume non avvistiamo alcun essere marino per svariati km.

Decidiamo di spingerci verso Est prendendo la pista n° 3, inizialmente sterrata per poi divenire ghiaiosa. A tratti la ghiaia si accumula pericolosamente e quindi procediamo a 80 km/h facendo attenzione alle variazioni del suolo. Proseguendo lungo la pista la presenza della sabbia si fa sempre più costante costringendoci a ridurre notevolmente la velocità. Il tôle ondulée si moltiplica e la moto viene sollecitata a tal punto che ad un tratto si accende la spia che indica il malfunzionamento dell’ABS.

Nel raggiungere Caleta Valdes incrociamo armadilli, nandù e guanachi; approdati alla caletta troviamo sparsi sulla costa leoni marini, elefanti marini e pinguini. Nella passeggiata per raggiungere la costa, uno scorpione attraversa il sentiero e si ferma davanti a noi con la sua coda dritta quasi a voler evidenziare il suo pungiglione in una dimostrazione di forza. Non sarà l’unico che incontreremo nella giornata.

Purtroppo in questo periodo non è possibile avvistare i grandi cetacei, la stagione giusta va da Agosto a inizio Dicembre, anche se i locali ci dicono che sempre meno cetacei fanno sosta attorno a queste acque.

Vorremmo proseguire verso Punta Norte, ma una guida del posto ci consiglia di non proseguire perché la presenza di sabbia sarà costante lungo tutta la pista. La guida ci racconta che qualche giorno prima avevano dovuto soccorrere un motociclista infortunato proprio lungo il tratto di pista che avevamo percorso al mattino. Decidiamo con rammarico di rientrare a Puerto Madryn.

Fine del viaggio, per ora

Ormai è giorno e penso alla mia moto, consegnata ieri all’officina che la custodirà fino a Luglio. Mi mancherà molto perché, pur segnando sul cruscotto oltre 225.000 km, continua a regalarmi grandi emozioni dimostrarando tutta la sua forza e il suo valore. Spesso in questi ultimi viaggi è stata osservata dai passanti, molti dei quali si sono accostati per osservarla o per farle una foto. Sta diventando una vera protagonista.

Intanto sorrido. Sì, sorrido ricordando una scena avvenuta a Punta Arenas dal gommista, un uomo sulla cinquantina dal fisico atletico. Quando tocca il mio turno per sostituire lo pneumatico posteriore, propongo al gommista di avvicinare la moto al ponte mobile, magari togliendo le valigie, ma lui mi risponde in modo seccato che si arrangia. Lo osservo mentre toglie il cavalletto della moto e noto subito una prima smorfia. Spostando la moto quasi inciampa, ovviamente si blocca davanti al ponte mobile perché sarebbe impossibile spingerla oltre. Mi ripropongo di dargli una mano, ma niente vuole fare da sè. Al terzo tentativo con il fiatone e il viso paonazzo, il gommista rivolge il suo sguardo verso di me e seccato mi fa cenno di dargli una mano. Ritornando sulla sedia in cui ero seduto incrocio lo sguardo di Alice e subito sorridiamo silenziosamente, non vorremmo che il gommista si irritasse.

Lungo la strada abbiamo incontrato molti motociclisti con i quali ci siamo sempre intrattenuti scambiando i nostri profili social. Motociclisti brasiliani, colombiani, tedeschi, svizzeri, austriaci, francesi, statunitensi (mamma quanto parlano) e canadesi. In Sud America ci ha sorpreso la massiccia presenza di tedeschi con i loro super accessoriati UNIMOG camperizzati, tanto che ad un certo punto mi ero quasi convinto che ci fosse un raduno di UNIMOG. Ne avremmo contati una ventina.

Ad una coppia incontrata in tre diverse occasioni abbiamo chiesto di poter vedere da vicino l’interno di questo bisonte della strada. Ogni cosa ordinata al suo posto, sicurezze di tutti i tipi (compreso il satellitare), un’indipendenza strabiliante data dalla possibilità di rimanere senza acqua, elettricità e gasolio per giorni e la possibilità di uscire dal mezzo da ogni lato attraverso pannelli robusti e removibili. La coppia ci precisa di non aver mai usufruito delle vere potenzialità del mezzo, che era di proprietà dei loro genitori, fermo in Sud America da anni per viaggiare in lungo e in largo in questo continente così vasto.

E’ giorno ed è arrivato il momento di alzarsi. Ora basta guardare indietro è ora di progettare il prossimo viaggio che ci spingerà a solcare i confini dell’Equador e della Colombia.

Buona strada

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